Al secolo
Enea Silvio Piccolomini. Svolse il suo pontificato dal 19
agosto 1458 al 15 agosto 1464. Membro di una nobile famiglia senese,
acquisì le basi di una profonda cultura umanistica nella sua
città, dove poté anche seguire l'appassionata predicazione di
Bernardino da Siena. Negli anni giovanili compose, in omaggio a un suo amore, il
libro di poesie latine
Cynthia (1426-28). Trasferitosi a Firenze, si
perfezionò negli studi letterari e giuridici e vi seguì le lezioni
di greco di F. Filelfo. In seguito si recò in tutti i maggiori centri
culturali e umanistici del tempo: Bologna, Ferrara, Pavia, Padova, Milano.
Grazie alla sua fama di uomo colto e intelligente, ottenne l'incarico di
segretario prima presso il cardinale Capranica, che accompagnò nel 1432
al Concilio di Basilea, e poi del cardinale Albergati. Sostenitore della
dottrina conciliarista (V. CONCILIARISMO), fu
eletto nel 1436 segretario del concilio stesso, cui erano connessi vari
incarichi diplomatici. Furono anni di viaggi e di ricca esperienza, confluiti
poi nel ricordo autobiografico dei
Commentarii rerum memorabilium quae
temporibus suis contingerunt (in 12 libri, cominciati nel 1462 e che
giungono fino agli avvenimenti del 1463).
P. si guadagnò il favore
di Filippo Maria Visconti, durante una visita a Milano del 1437, e conobbe a
Ginevra Amedeo VIII di Savoia, la cui elezione come Felice V, voluta dal
concilio, sostenne direttamente. Tra il 1440 e il 1442 ne fu il cancelliere,
componendo anche degli scritti in difesa sua e del Conciliarismo, quale i
De
gestis basiliensis concilii del 1440 (la medesima materia fu riproposta
dall'autore in forma più ammorbidita nel 1450, dopo la conversione
papista, con il titolo
De rebus Basileae gestis stante concilio vel
dissoluto). Nel 1442, tuttavia,
P. fu incoronato poeta dal nuovo re
di Germania Federico III e accettò di entrare nella sua cancelleria:
ciò segnò un suo progressivo allontanamento dalle posizioni
conciliariste, cui il "legittimo" pontefice Eugenio IV non sembrava
voler cedere. Gli anni trascorsi alla corte di Vienna (1442-46) furono i suoi
più fecondi da un punto di vista letterario. Compose infatti le opere
latine di maggior valore, segnate da composta tristezza e da un qualche
erotismo:
Historia de duobus amantibus (1444), una storia quasi
boccaccesca, ambientata nella Siena degli anni giovanili, in cui egli
contaminava i comici latini con la sensualità ovidiana; la commedia
Chrysis (1444), plautina e terenziana insieme, di un realismo crudo; il
trattato
De curialium miseriis, in cui riportava le meschinità
della vita cortigiana. I suoi incarichi erano tuttavia soprattutto di natura
diplomatica e nel 1445 si recò a Roma presso il papa, cui si sottomise
abiurando le sue precedenti convinzioni e facilitando, per ciò stesso, i
rapporti tra Papato e re di Germania. Quando nel 1446 prese gli ordini minori e
poi quelli sacerdotali, questa sua funzione di collegamento si accentuò
ulteriormente e continuò sia con Eugenio IV sia con il successore di
questi (e personale amico del futuro
P.), Niccolò V. Nel 1447 fu
nominato vescovo di Trieste e nel 1450 di Siena, pur continuando
l'attività diplomatica che sfociò nel 1452 nell'incoronazione
imperiale di Federico II. Altri scritti vennero ad aggiungersi alla sua
già cospicua produzione: l'
Historia rerum Friderici III
imperatoris e
Cosmographia, opera dotta ed erudita di carattere
storico-geografico. Papa Callisto III lo creò cardinale nel 1456 e alla
morte di questi, nel 1458, egli fu eletto papa come
P. (nome da lui
prescelto con allusione al suo nome di battesimo, Enea, il
pius).
All'origine di questa scelta inaspettata (e per altro avversata da molti
cardinali) furono tanto le sue aderenze politiche quanto la sua esperienza
politico-diplomatica, ma soprattutto la preoccupazione che il nuovo pontefice
mostrava per l'avanzata turca già dal 1444, dopo la sconfitta cristiana
sul campo bulgaro di Varna. Nei Turchi, infatti, egli vedeva un duplice
pericolo: come papa, i nemici della cristianità; come umanista, i barbari
nemici della cultura classica. Uno dei suoi primi atti fu l'emanazione della
bolla
Vocavit me, in cui esponeva la necessità di bandire una
crociata di tutte le forze cristiane contro i Turchi e indiceva un congresso di
preparazione a Mantova (1459). I risultati furono assai deludenti, dal momento
che molte potenze occidentali (tra cui la stessa Venezia) avevano già
stretto patti commerciali con i Turchi.
P. non abbandonò comunque
la sua idea e continuò a predicarla in Europa, devolvendo a questa causa
molte delle entrate pontificie. Redasse scritti non pastorali, intrisi del suo
spirito di crociata, come l'
Epistola ad Mahometem (1460), in cui sferzava
l'ignavia dei principi cristiani. Con l'incrinarsi dei rapporti turco-veneziani,
P. ritenne giunto il momento di bandire ufficialmente la crociata nel
1463, mettendosi direttamente alla sua testa. Nel giugno 1464, benché
malato, partì per Ancona, dove avrebbero dovuto riunirsi le forze inviate
dagli Stati cristiani. Giunto in città nell'agosto, vi trovò una
flotta modestissima e un'epidemia di peste, per la quale, già debole,
morì, e con lui la crociata. Il pontificato di
P. fu piuttosto
breve e non mancò di portare i segni del nepotismo proprio dei tempi:
egli favorì i parenti e gli amici, indirizzò il suo mecenatismo
verso la città natale (che da Corsignano prese il nome di
Pienza
(V.), e Siena. La sua vocazione umanistica non fu
sopita dall'altissimo ruolo ecclesiale, ma gli fu tuttavia limitata. Alcuni
vedono infatti, ad esempio nella sua devozione a Caterina da Siena (che egli
canonizzò) o nella crociata antiturca, i segni di una sorta di misticismo
medioevale. Ciò non sembra del tutto vero, anche sulla base dei suoi
progetti di riforma ecclesiastica (elaborata con Nicola Cusano e solo in parte
realizzata), del miglioramento da lui voluto delle condizioni di vita degli
Ebrei residenti nello Stato pontificio e della sua opposizione alla nascente
tratta degli schiavi. Anche il netto voltafaccia a proposito della costituzione
monarchica della Chiesa, ribadita nell'enciclica
Execrabilis, va letto in
profonda connessione con la dichiarazione di guerra ai Turchi (espressa mediante
l'enciclica
Ecclesiam Christi, che precedette la sopracitata di soli
quattro giorni). La crociata si poneva infatti come momento di unità
religiosa e civile dei cristiani europei contro gli infedeli e poteva avere solo
in un pontefice-monarca la garanzia della propria esistenza.
P.
mostrò tanto nella propria esistenza laica quanto negli anni pontificali
la statura di uno dei più grandi umanisti europei, le cui qualità
intellettuali e letterarie non trovarono pari fino a Erasmo da Rotterdam e il
cui mecenatismo meritò una qualifica proverbiale. Gli successe Paolo II
(Corsignano, od. Pienza, Siena 1405 - Ancona 1464).